Il vampiro ( incipit e frasi )

In questo spazio ho deciso di inserire l'incipit del mio romanzo di modo che possiate farvi un'idea dello stile e del contenuto. A seguire, qualche frase molto tumblr estratta dal romanzo, e infine, la nota dell'autore sulla genesi e il nucleo tematico dell'opera (da leggere solo dopo aver terminato il romanzo perché è piena di spoiler). Buona lettura

 

Il primo ricordo che ho di lui è all’ingresso del vecchio ufficio, in piedi; aveva le braccia stirate sul tavolo, a fargli da perno, mentre sfogliava pigramente le pagine di un documento che fingeva di leggere. Ricordo distintamente il mio saluto distratto e il suo, di risposta, così vago e approssimato; ricordo i bottoni cremisi che gli chiudevano la camicia, il pantalone di stoffa blu, due glifi dorati intorno ai polsini, le sue pupille perse – barche senza remi in un deserto marino -, e la luce diafana che penetrava dalla finestra dietro le sue spalle, fin troppo timorosa di quella figura che le sbarrava la strada e la costringeva a farsi ombra. Ricordo soprattutto il primo pensiero, il più antico che feci su di lui: “con questa persona non avrò nulla a che fare”. Mai mi sono sbagliato di più in tutta la mia vita. Allora non potevo sapere - come avrei potuto? – che tutti i miei ricordi da quel momento in poi sarebbero stati rimorsi. Lo avessi saputo, avessi potuto, sarei tornato indietro, avrei fatto, avrei potuto, avrei detto… congiuntivi e condizionali, la grammatica dell’irrealtà, ovvero ciò che non può più accadere.

   Lo incontrai lì, la prima volta, nell’ufficio in cui ero appena stato assunto. Ero solo un giovane apprendista, 24 anni e troppa voglia di sbagliare. Lavorai duro tutta l’estate per dimostrare di che pasta ero fatto, e la mia caparbietà ebbe la meglio: a settembre mi fecero un contratto a tempo determinato; siglai la mia disfatta con una firma, per quanto al tempo avessi creduto di aver fatto il primo passo verso l’indipendenza. La gioventù, d’altronde, è l’età dove i primi sogni iniziano a infrangersi: troppo duro è lo scoglio della realtà. Spiegare che lavoro svolgessi richiederebbe tempo e, in fondo, non interessa a nessuno; basti sapere che quello che facevo, lo facevo con passione. A novembre credevo di aver chiara almeno una cosa nella vita: quello era il lavoro dei miei sogni. E quando a quell’età si pensa di aver trovato il lavoro dei propri sogni, ci sono due spiegazioni: è il primo lavoro mai fatto e non si ha una vita sentimentale. Entrambe le cose per me erano vere. Avevo trascorso gli ultimi anni a studiare come un forsennato, cercando sempre di ottenere il massimo dei voti per assicurarmi la borsa di studio per l’anno successivo e l’anno dopo ancora. Prima della laurea, partii per l’Erasmus, sempre tramite borsa di studio, e un mese dopo la fine degli studi avevo già trovato lavoro. Per quanto riguarda l’amore, meglio non parlarne; un mucchio di storielle senza significato, nelle migliori delle occasioni, mentre al contrario, roba da piangerci la notte per un mese o due. Raccontavo a me stesso che non ero abbastanza per gli altri, abbastanza bello, abbastanza in forma, abbastanza spigliato, che è quello che ci diciamo quando in realtà crediamo che nessuno sia alla nostra altezza. Non ne ero conscio al tempo, ma avevo un’immagine eterea di me stesso, come se trascendessi la dimensione terrena e umana, quasi fossi un surrogato angelico precipitato sulla terra per pura malasorte. Non avrei mai deturpato la mia natura celeste, se non per qualcuno di altrettanto angelico, o per poter sollevare da terra verso il cielo un prescelto dal cuore puro ma ancora grezzo. Quante fandonie. Ecco cosa mi ha portato dritto tra le braccia del vampiro. Ma meglio raccontare le cose con ordine: innanzitutto, sì, i vampiri esistono. Non sono come li descrive Stoker, i vampiri di Anne Rice nemmeno c’entrano nulla, men che mai rassomigliano a quelli di Twilight, e a questo proposito, sfatiamo subito un mito: i vampiri non sono creature soprannaturali, sono esseri umani. Indossano la maschera del mostro per avere pronta la giustificazione ai loro comportamenti deplorevoli, ma dietro quella finzione c’è nient’altro che un essere umano, in carne e ossa. Non mi credete? Allora state a sentire la mia storia. [...]

 

 

-"La persona indossa il nome tanto quanto l’anima indossa il corpo".

 

-"Mi ritrovavo intero solo al sentirmi chiamare così da lui. Quello che non sapevo al tempo è che a Raul le cose intere non piacevano. Gli ricordavano quella brutta mesta verità che non ha mai avuto la forza masticare in bocca: che lui intero non ci si è mai sentito".

 

-"Non importa quanto ci si sforzi. La vita è un atto di fede: uno spera che le cose non accadano, si impegna il più che può. Tuttavia, persino le migliori pianificazioni sono destinate a sgretolarsi".

 

-"Non mi accorsi che quello scintillio che mi era parso baluginare in macchina sotto il buio del cielo non era la tristezza condensata nei suoi occhi, come avevo creduto, ma il bianco dei suoi canini aguzzi pronti a penetrarmi la carne".

 

-"Poco male che non sarei appartenuto a nessuno, a un ragazzo, ai miei genitori, ai figli che non volevo e mai avrei voluto; poco male che non sarei appartenuto nemmeno a me stesso. Appartenevo alla natura, e mi stava bene così."

 

-"L’immaginazione è a nostra pura somiglianza, perché appartiene solo a noi".

 

-"[...]E dietro ogni vaga tristezza c’è un dolore certo."

 

-"Non c’è storia che sia fatta da se e dai ma, e le possibilità che non si sono avverate non sono null’altro: cose che non dovevano accadere."

 

-"[...]sentirlo parlare mentre la notte gli scivolava nelle lacrime trattenute, era il meglio che la vita mi potesse offrire".

 

-"La prima fase dell’innamoramento è un’illusione: non ci innamoriamo della persona, ma dell’idea".

 

-"[...]Oh, eccome se avrei aspettato. Estati, autunni, inverni e primavere, giorni senza albe e notti prive di stelle. A lungo, a ripetizioni, all’infinito. Non mi aveva ancora inferto il colpo mortale, eppure ero già malato terminale".

 

-"[...]Ruotavamo. Anzi, lui ruotava… in un cerchio di corrispondenze mozzate, quasi che l’energia necessaria a produrre il nostro moto reciproco fosse incostante, a singhiozzi, seguendo l’altalena malsana dei suoi umori neri e il mio masochismo nel volerli corrispondere tutti, a tutti i costi".

 

 

                                                NOTA DELL’AUTORE

 

Il vampiro nasce da un’urgenza narrativa; l’idea mi è scalpitata in mente e da qualche altra parte per molti, molti mesi. Non riuscivo a sbarazzarmene. Volevo scrivere qualcosa che si collocasse esattamente nel solco lasciato dall’opera omonima di Polidori, con il fine di scrostare i lasciti del folklore e di ripristinare le intenzioni originarie dell’autore; di raccontare, quindi, un rapporto tossico con una personalità vampiresca. Ho operato una sola, significativa modifica: in Polidori il protagonista è un vampiro con tratti umani. Io miravo a rendere il mio vampiro un uomo a tutti gli effetti, umano nella sua disumanità. Non mi interessava che il romanzo rientrasse nel genere fantasy, non era quello l’obiettivo; desideravo piuttosto che, attraverso una metafora opaca, esplicitata per lo più dal titolo, i lettori riuscissero a rispecchiarsi nella vicenda, a ricollegare gli eventi alla propria esperienza. Nel mio romanzo c’è un continuo gioco di riflessi tra gli elementi folkloristici e soprannaturali correlati alla figura del vampiro e la trasposizione nel reale che ho operato: Raul disprezza i carboidrati, non ne sopporta nemmeno l’odore. Proprio come il vampiro non tollera l’aglio. I vampiri non vedono la propria immagine riflessa sullo specchio, e in un certo senso anche Raul non vede sé stesso, ma solo la proiezione di sé. Questa operazione di scrostamento e riadattamento al reale serve a mantenere intatto il riferimento alla figura-modello, e al contempo a contestualizzarla in una situazione moderna, con l’intento di chiarire che gli individui che noi additiamo come mostri sono umani tanto quanto noi. La disumanità è parte dell’umanità. Ed è per questo che il protagonista – di cui non sappiamo mai il nome – per quanto produca in noi un forte sentimento di empatia -anzi, forse proprio in virtù di quell’empatia – è così contraddittorio. È una personalità frammentata, quasi che le parti che lo compongono siano scollate, non adese le une alle altre. Perciò, non è conscio dei proprio lati oscuri, li ignora, ne minimizza i rischi. Entrando in collisione con Raul, il protagonista fa emergere– o sviluppa (questo è lasciato all’interpretazione del lettore) - lati di sé stesso raccapriccianti, sotto i quali finisce per soccombere. A una prima stesura il protagonista non risultava altrettanto contraddittorio. Volevo che la falce del giudizio ricadesse esclusivamente su Raul, e che quindi il personaggio principale rimanesse innocente e vittima, e in quanto tale solo destinatario di una profonda empatia da parte del lettore. Tuttavia, ciò non sarebbe stato realistico. Il lettore deve sì stringere con il protagonista un’ rapporto di identificazione che porti alla comprensione  sia del personaggio che di sé stesso, ma deve anche arrivare a capire che le strade dei due "eroi" del romanzo si sono intrecciate non per puro capriccio di un destino beffardo, ma per volontà di entrambi. La responsabilità è divisa in parti eque. Il giudizio può – e deve – precipitare su entrambi. I pezzi del puzzle si sono incastrati perché le due personalità potevano incastrarsi; c’erano le giuste corrispondenze. Lo dice Raul stesso, del resto “tu coi tuoi bei discorsi sull’amore e quella capacità che hai di leggere le persone e prenderti carico dei loro dolori, facevi al caso mio”. Con ciò non voglio dire che il protagonista abbia una colpa, parliamo piuttosto di responsabilità. Il confine tra le due è labile, ma netto. Quand’è che la responsabilità si fa colpa? Quando si oltrepassano i limiti del buon senso. E nel Romanzo, quel momento è quando il protagonista decide di andare a fondo nella vicenda, illudendosi di farlo per riscatto e non per disperazione. Avrebbe dovuto lasciar perdere, avrebbe dovuto cambiare aria, eliminare Raul dalla propria vita. Facile a dirsi, molto meno a farlo. I rapporti tossici hanno un funzionamento ben preciso che si basa su meccanismi biologici. Nel romanzo, però, la ricerca della verità su Raul per il protagonista corrisponde a una ricerca di sé stesso, ed è proprio in quel frangente che i due personaggi si riavvicinano, fanno della loro prossimità molto più che una storia d’amore, ma un rapporto d’identità. Raul e il protagonista sono due facce della stessa medaglia, sono il bene nel male e il male nel bene. Il narcisismo overt e il narcisismo covert (se vogliamo dare una definizione psicanalitica). Raul è ciò che il protagonista non accetta di sé, e il protagonista è ciò che Raul vorrebbe essere. Con la morte di Raul e la reclusione in prigione del protagonista il cerchio arriva a una chiusura. Raul, che viveva solo tramite la propria proiezione, smette di esistere del tutto. Il protagonista, che teneva in prigione il proprio lato marcescente, finisce dietro le sbarre. Il doppio nodo che unisce i due personaggi rende entrambi protagonisti e antagonisti del romanzo. Entrambe le cose per giunta doppiamente, perché sono al contempo antagonisti di sé stessi e dell’altro, e protagonisti della propria vicenda e della vicenda dell’altro, in un gioco di egoismo radioattivo che, a dirla tutta, nel romanzo è il vero e unico personaggio centrale. È anche per mantenermi fedele a quest’idea che ho deciso di non inserire troppi personaggi secondari, e di farlo solo in misura di Raul e del protagonista. E ho voluto che fossero (quasi) tutti personaggi femminili proprio per costituire una netta linea di demarcazione tra i due gruppi. Di personaggi maschili, infatti, ne compaiono solo tre: Taddeo, in sogno, Uberto e Il signor Cad. Lasciando da parte Taddeo che è solo una comparsa, Uberto e il padre di Raul sono dopplegänger dei personaggi principali. Viene lasciato intendere che Uberto, dietro i suoi modi gentili e le premure, ha intenzioni meno nobili; in ciò rassomiglia al protagonista, che col suo fare naif le sue moine convince tutti di essere innocuo, per poi finire a pugnalare una sua collega. Invece, il signor Cad è inaffidabile, bugiardo e tossico tanto quanto il figlio.  In questo senso, occorre osservare come il rapporto tra il maggiordomo e il padre di Raul sia un rapporto di subordinazione e dipendenza tanto quanto quello tra i due protagonisti. Di rimandi interni è ricca tutta la narrazione, e ognuno di questi ha una precisa lettura e una precisa intenzione, che funge da descrittore non solo dei personaggi, ma dei nuclei tematici su cui è imperniato il romanzo. Se mi mettessi a snocciolarli uno per uno vi toglierei quello che è uno dei piaceri fondamentali della lettura: l’esplorazione di sé stessi attraverso la storia.

Concludo questa breve nota precisando che ho portato avanti da solo il lavoro di editing (confrontandomi di tanto in tanto con un’amica) e che ogni imprecisione, ogni errore, ogni svista, qualsiasi elemento fuori posto, è imputabile all’assenza di un editor professionista e di un obiettivo occhio esterno che eliminasse con un colpo di penna e senza alcuna pietà il superfluo e l’errato, e all’impossibilità che ciascuno di noi ha di essere implacabilmente severo e oggettivo con le proprie produzioni.  Ciò nonostante, mi auguro che il romanzo vi abbia portato ciò che non cercavate - perché i libri migliori sono proprio come i tuoni: improvvisi e fragorosi- e che vi abbia detto ciò che non volevate sentire nel più atroce e rumoroso dei modi. Grazie.

Matteo Zandri

 

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