I miei amici

Se io e le mie due amiche siamo ancora in grado di poter raccontare le nostre tragicommedie a ogni pretesto e occasione divertendo ( o ammorbando ) ascoltatori ingenui, lo dobbiamo soprattutto a una persona, l'unica dotata di raziocinio dei quattro. Non posso fare il nome, perché, essendo Cancro ascendente capricorno, è nato con un forte eccesso di timidezza, smussata con gli anni, alla qual cosa si vanno ad aggiungere anche fiumi di sangue Sabaudo nelle vene, che lo rendono taciturno, composto e disciplinato. In breve: tutto quello che noi tre non siamo e non saremo mai. Se noi siamo la santa Trinità, lui è la nostra cattedrale, che si erge e si staglia in alto, affronta il cielo con la sua facciata di granito, ci dà consistenza, un luogo protetto dove esprimerci in totale e naturale follia. Quando lui è con noi, siamo al sicuro. Se per caso, passeggiando per le strade dell'Olgiata, uno di noi tre si spaventa per aver sentito il ruggito di un cinghiale-orso tra le fratte e si lancia in mezzo alla carreggiata rischiando di morire falciato dal passaggio di un'auto in corsa ( ogni riferimenti è assolutamente non casuale), ecco che vedremo tendere la sua mano, seria e decisa, per riportare il o la malcapitata dove non c'è rischio di perdere la vita, per poi lanciarsi in un sermone razionalizzatore che subito dopo diverrà un rimprovero. Ciò vale anche sul piano metaforico, dato che ogni cosa partorita dalla nostra mente è di fatto un deragliamento rispetto al percorso sicuro e sano, e di tanto in tanto, per non dire sempre, quando si sfiora il ciglio del burrone, risulta necessario il suo intervento ché ci riporti entro i confini della razionalità. Senza di lui saremmo persi. E tante volte abbiamo rischiato di esserlo. Persi nel cuore, o nella morale, o in una cella di prigione, nella follia che ci popola l'animo, o più semplicemente sulla Via del Mare. Anche questo, non esempio casuale: anni fa è capitato che, tornando a casa da Garbatella, da una di quelle serate internazionali improponibili che organizza F., Io e M. ci siamo trovati Aurelia e Raccordo chiusi, restando così senza alcuna soluzione per tornare a casa. Quella volta non ci venne in soccorso il nostro Deus ex machina, ma riuscimmo a cavarcela lo stesso, in qualche modo. Certo, dopo un paio di ore di giri a vuoto e una serie di maledizioni scagliate contro il mondo. Se ci fosse stato lui, con totale certezza, non ci saremmo nemmeno accorti della strada chiusa, saremmo semplicemente tornati a casa.

Per amor di chiarezza, devo ammettere che io e M. insieme , specie se in macchina, siamo un mix micidiale di disagio tale che le possibilità altrimenti remote che qualcosa di nefasto e altrettanto assurdo accada, si concretizzano con una velocità temibile: nel lontanissimo 2016, andando a Santa Severa in seguito a uno dei nostri collassi psichici ( a quei tempi ne avevamo uno al giorno), ci siamo dovuti fermare a fare benzina. Qualsiasi persona normale dotata di raziocinio ci avrebbe messo tre minuti, cinque al massimo, ma io e lei il raziocinio quel giorno lo avevamo legato al tettuccio della macchina e seviziato a suon di turbe psichiche, perciò rimanemmo bloccati alla stazione di servizio. Perché? Perché non riuscivamo a togliere il tappo dal serbatoio. 20 minuti della nostra vita buttati così. E un'altra crisi a seguire per completare il tutto.

Ora, a me piacerebbe incolpare lei della maggior parte delle mie disavventure automobilistiche, e l'esperienza mi verrebbe in soccorso nel farlo, la verità però è un'altra: non ho bisogno di lei per ritrovarmi in queste situazioni aberranti e ridicole. Nel 2019, per esempio, mi era preso il viziaccio maledetto, aprendo la macchina, di appoggiare momentaneamente borse, borselli e borsucce sul tettuccio dell'auto stessa, con ovvia conseguenza che, annebbiato di pensieri intrusivi, puntualmente  dimenticavo tutto lì sopra.

Mi piacerebbe dire che sono stati pochi episodi slegati, mentirei però. Un giorno tornando alla macchina dopo un furioso litigio, poggiai la borsa della palestra sopra il tettuccio della macchina. Scosso com'ero, avvolto dalla frustrazione di quell'episodio tremendo, non mi resi conto di averla lasciata lì sopra e mi feci una decina di km con il borsone che vagava in lungo e in largo, mentre io - lana del rey in sottofondo - piangevo pure l'anima. Fu un motociclista ad avvertirmi, mentre eravamo fermi al semaforo. Bussò al mio finestrino, e nonostante gli avessi ringhiato contro per aver osato distogliermi dal dolore in cui stavo sguazzando, mi fece notare con dolcezza che ero divenuto il pericolo ambulante numero uno di tutto quartiere Esquilino, con quella borsaccia gigante che girovaga lungo la superficie del tettuccio. Se fosse caduta, magari per una brusca frenata o per una sterzata troppo vigorosa, avrei sicuramente ferito qualcuno. La recuperai prontamente, uscendo dalla macchina, io insieme alla mia crisi di nervi - gli occhi ineittati di disperazione, i capelli alla Telespalla Bob - così almeno, l'unica cosa rimasta ferita era il mio amor proprio e quel poco che mi rimaneva di dignità. Pochi giorno dopo, invece, sul tettuccio della macchina ci lasciai il portafoglio, che ovviamente, occupando un'area decisamente inferiore e pesando assai meno della borsa della palestra, alla prima svolta scivolò via. Tornammo indietro, io e altre due salvatrici, sante e pazienti, per ricercarlo dove pensavamo fosse caduto. Setacciammo ogni angolo della piazza della Domus Aurea, chiedemmo persino agli spacciatori e ai senzatetto della zona, che ci spiegarono i trucchi del mestiere del furto e l'arte di nascondere il malloppi. Per fortuna, anche in questo caso la conclusione fu lieta, grazie al ritrovamento fortuito da parte di un ragazzo, che mi riconsegnò direttamente il portafogli. Successe una terza volta poi, con le fatture che dovevo consegnare al commercialista la sera stessa. Avevo passato tutto il pomeriggio a studio a battere sulla tastiere come un gattone sotto effetto di stupefacenti per completare le fatture, incasinandomi con cifre, numeretti, marche da bollo, imprecazioni, nomi, cognomi, cifre, percentuali...un'altra laurea mi ci sarebbe voluta per svolgere tutto con la precisione richiesta. Non contento del caos, nella fretta, lasciai il plico indovinate dove? Ovviamente sul tettuccio della macchina. Me ne accorsi solo una volta arrivo dalla mia amica, dove avrei incontrato anche il commercialista ( amico comune ). Di nuovo, era successo di nuovo. Tornai a studio, sfidando tutte le leggi della strada che per fortuna a Roma valgono come il due di bastoni a briscola se regna coppe, e nuovamente, baciato da quel tipo di fortuna che aiuta solo gli audaci e i folli, ho ritrovato le fatture su via Ruggero Bonghi, con l'orma della mia ruota impressa sopra. Non vi dico la faccia delle mie amiche quando mi sono presentato con il plico in mano, segnato dalla mia follia e dagli pneumatici.  Imputati dello scempio il mio mercurio in sagittario, come se l'astrologia potesse scagionarmi, quando in realtà, l'astrologia motiva e basta.

Insomma, come potete vedere, che io sia solista o in gruppo, una qualche sventura tra capo e collo mi capita, o comunque una disavventura, una situazione imbarazzante; la presenza del nostro Angelo bianco può certamente attutirne gli effetti, risolverne le conseguenze, ammortizzare le avversità, ma c'è da dire che, per quanto sia indispensabile, nemmeno lui sa porre un freno alla nota costante della mia vita: il dramma. Fino a qualche tempo che credevo che davvero il dramma mi perseguitasse ovunque andassi, quasi fosse un'entità immanente, poi ho capito: il dramma è dentro di me, il dramma sono io. Io e ovviamente il 70% delle mie conoscenze, perché evidentemente le amicizie me le scelgo in base a questo prerequisito.

 

Mia madre è un alieno

Forse mia madre è un alieno. Anzi, quasi sicuramente. Altrimenti non si spiegherebbero alcuni atteggiamenti. Ad esempio, è convinta di avere sempre ragione. E purtroppo i fatti parlano chiaro: HA sempre ragione, ma non perchè dotata, come pensa lei, di un intuito anomalo, assolutamente, sarebbe fin troppo bello, almeno si ricorderebbe tutto quello che le viene detto nell'arco di tre fottutissimi minuti , ma semplicemente perchè il destino, il fato, la tuche, Dio, Vishnu, Pippo Baudo o chi per voi, si caga sotto non appena se la ritrova di fronte. Comprensibile, mi stupirei del contrario. Quindi, in realtà, lei non intuisce gli eventi, lei STABILISCE gli eventi: se vi trovate, che ne so io, in piena Antartide tra foche, pinguini imperatori e ricercatorti scientifici, e mia madre dice che ad una tot ora il cielo si squarcerà e da esso cadrà una pioggia di fuoco tale da sciogliere l'intero polo sud, potete stare sicuri che poco dopo vi ritroverete in bikini a sorseggiare pepsi cola su un cubetto di ghiaccio. Purtroppo però, nessuno le da retta. Nemmeno io, forse perchè, stupidamente, mi illudo che non dandole retta, anche l'universo farà altrettanto. Sì lo so, mi piace illudermi. Così, quando torno da lei col capo chino, gli occhi abbassati, lo sguardo da cucciolo maltrattato e le dico, anzi, le sussurro in modo pressocchè impercettibile "avevi ragione tu", mi aspetto quattro parole, solo quattro: TE LO AVEVO DETTO. Molto più che una semplice frase fatta, per mia madre è una sacrosanta, sempreverde, incrollabile verità, un pò come "non ci sono più le mezze stagioni" per gli anziani, oppure "mangia chè ti vedo deperito" delle nonne. Solitamente la sentenza viene ripetuta con una frequenza di cinque/ sei volte per diem, nel caso dovessimo disgraziatemente dimenticarcelo, e viene ultilizzata a mò di passpartout, una sorta di "risposta sempre valida".

"Mamma, mi è caduto il cellulare dalla tasca e si è rotto lo schermo."

"TE LO AVEVO DETTO!"

"Mamma, sono andato al mare, non ho messo la protezione sulle spalle e mi sono bruciato."

"TE LO AVEVO DETTO!"

"Mamma, ho dimenticato la giacca a casa di *nome a scelta*."

"TE LO AVEVO DETTO" ( manco un' anticchia di trasporto emotivo, ormai è una riflesso automatico.)

Bhè, forse mia madre porta semplicemente sfiga. Soluzione più che plausibile. Ma ci sono comunque situazioni che non riesco a spiegarmi:

"Mamma, si è aperta una falla in Matrix!" magari ce la freghi, uno pensa.

" TE LO AVEVO DETTO."

" ... Ma hai capito cosa ti ho detto?"

"Sì, ora non disturbarmi, ho un ospite.

Scusa Morpheus, il caffè con quanto zucchero?"

E tu rimani lì, con la faccia da idiota, non capendo assolutamente un dannato nulla di cosa sta accadendo, manco ti fossi iniettato sambuca nelle vene. Così, alla fine, traumatizzato come un gatto in autostrada, decidi di uscire, farti una passeggiata, rannicchiarti in un angolo buio della camera e ripeterti che non è successo niente, e, magari, ipotizziamo, ti metti a cercare nel cassetto la felpa blu, quella vecchia, calda che tu ami tanto. Manco a dirlo, non la trovi, il che può volere dire una sola cosa: l'alieno ha messo piede nel tuo territorio. "Dov'è, dov'è, dov'è finita? Dove l'ha messa? Niente... niente... non c'è".

" Cosa cerchi?" eccola, eccola che si avvicina. Il colpevole torna sempre sul luogo del delitto.

" Il maglione blu. Il mio vecchio maglione Blu. Dove sta?"

" Blu. Panni colorati. 15esima lavatrice delle 22:30. Stesi alle 5 del mattino. Piegati alle 8." poi dicono che sei matto...

" Quindi dove sta?" Arriviamo al sodo perlomeno, già mi costi un patrimonio di psicanalisi.

" Sta qui, nel terzo cassetto, ce l'ho messo io." eh, allora stiamo freschi. " Dovevi fa' tutto 'sto macello?"

Per due panni sul letto. La solita esagerata: " Tu giochi a nascondino con le mie cose!"

" Roba vecchia, ringrazia che non l'ho ancora buttata." mi viene il dubbio eh...

" Anche tu sei vecchia, mica ti butto per questo." Oddio, c'ho fatto qualche pensierino però...

" Ecco, il solito stronzo, come tuo fratello." E' da prima che nascessi che me lo ripete.

" Vabbè, la felpa non la trovo, do' 'sta?" Più tempo passi con l'alieno, più il codice linguistico scende di grado. Chomsky sarebbe contento di questa mia scoperta.

" Scommetti che apro il cassetto e te la trovo? Poi però ti meno pure!" Eccola, eccola la frase che aspettavo! Sticazzi, mi menasse pure, basta che mi fa comparire la mia fottuta felpa.

E così, senza neanche un colpo di bacchetta magica ( Cenerentola, qui abbiamo una professionista, altro che fata Smemorina ) la felpa compare. Esattamente dove tu l'hai cercata per un 'intera mezz'ora. Si è materializzata, all'improvviso. Poi sai, avessi la fossa delle Marianne al posto del cassettone, lo capirei, sarebbe normale perdersi un maglione tra un'alga e l'altra, ma è un semplicissimo, banalissimo rettangolo tridimensionale in legno dell' Ikea. Lei vuole che arrivi a credermi matto, per forza: " Ma che non l'hai visto? Certo, tieni le cose come merda" Poi mi dovrà spiegare come si tiene la merda, ma vabbè.

" Mamma, non c'era il maglione, è comparso quando hai aperto il cassettone."

" Non dire idiozie. Piuttosto, vammi a prendere le sigarette." Avete presente i vostri peggiori incubi? Ecco, mia madre li racchiude tutti.

" Ma ora?" Fuori c'è il diluvio universale, mio padre sta costruendo un'arca ( speriamo si scordi CASUALMENTE di includere la consorte nella lista degli invitati )

la fine del mondo è prossima, e lei vuole fumare. Anche l'essere umano più spietato ha in sè un pò di misericordia, ma lei non ne ha alcuna, perchè, evidentemente, non è un essere umano.

" Lascia perde. Oh ti chiedo una cosa io ed è il finimondo, non c'è mai un volta che bla bla bla". Dopo un pò uno ci fa l'abitudine, diventano solo suoni pirivi di senso.

" Hai guardato fuori dalla finestra?Ti rendi conto che la razza umana è ad un passo dall'estinzione?"

" Ma staranno, non so, cadendo due gocce." Questa l'ha rabuta a Miranda Priestly. " Poi volevi uscire già prima!"

" Avrei preso la macchina, ora ce l'ha papà." Furbo lui, esce per "dieci minuti" e sta fuori tre ore.

" Ti fai una passeggiata a piedi, ti fa solo che bene camminare un po'." Nuotare, vorrai dire.

Alla fine, decidi di uscire. Decidi... non è che hai molta scelta: tua madre rischia la tua vita per comprare morte in scatola... nessuno coglie l'ironia?

Così ti prepari, ti armi di sciarpa, giacca a vento, l'immancabile felpa blu, guanti, pelle di orso bruno, ascia e affronti il grande gelo.

Nemmeno sto a raccontare l'epopea per compare due dannatissimi pacchetti di mortEHM di sigarette, passiamo direttamente al rientro.

Passi il cancello di casa, e la vedi lì, fuori, nel cortile, sotto il portico malmesso, noncurante dell'acqua che le arriva alla vita a fumarsi una sigaretta. Come è possibile che non si spenga, rimane un arcano.

" Ma scusa, mi hai mandato a morire per comparti le sigarette, e ce le avevi già?"

" Metti che finiscono?" Metti che finiscono... metti che finiscono... metti che finiscono. La più stupida catena verbale mai sentita nella mia intera vita. Queste tre fottute parole mi riecheggiano nel cervello, picchiettano sulla corteccia cerebrale come Woody Woodpecker.

" E ti servivano altre sigarette prorpio ora, durante la fine del mondo?"

" Bhè perchè che altro avevi da fare? Saresti morto pure se fossi rimasto in casa." Mia madre è un mostro. Altro che alieno. Ha pure azzeccato il periodo ipotetico. " Poi, come puoi vedere, sto in cortile e sono vivissima". No ok, è un alieno. Mostruosamente spietato, ma comunque alieno

 

Le burocrazia è il male dell'Italia

Il male dell'Italia è la burocrazia. E se non siete d'accordo i motivi sono due: o non ci avete mai avuto nulla a che fare - e vi invidio - oppure ci lavorate - e vi disprezzo. E non lo dico tanto per dire, lo dico perché in trent'anni di vita mi ci sono dovuto scontrare mille volte, tra passaporti, documenti vari, carte d'identità, permessi, scartoffie e altri tipi di carcasse arboree di cui il nostro sistema amministrativo è il maggiore responsabile. La dimostrazione ultima però l'ho avuta in questi ultimi quattro mesi. Mi sto trasferendo in Cina per lavoro. Bellissimo, sì. Sarebbe stato ancora più bello se mi fossi potuto godere il momento, invece di fare la trottola matta da ufficio a ufficio tutti i santi giorni per quattro mesi. Soddisfo subito la vostra curiosità: cosa ti chiedono per andare in Cina? Qualsiasi documento che vi possa venire in mente. Innanzitutto, il casellario giudiziario. E che è? Niente meno che la fedina penale. Se ve lo state domandando sì, è immacolata, con mia grande sorpresa. Poi i vari diplomi di laurea. Vari almeno nel mio caso. Del resto, io sono studiato: ho una triennale in scienze del disagio, una magistrale in drammi non necessari e un master in scelte discutibili. Ovviamente, se non li avete mai ritirati come il sottoscritto dovete recarvi negli uffici della vostra università. La Sapienza nel mio caso (altrimenti detta la spiacenza), per triennale e magistrale. Mi sono detto: be', scarichiamo i certificati dal portale. E mi era pure parsa la genialata del secolo. Ho interpretato i voli degli uccelli e compiuto voli estatici solo per riuscire a recuperare lo spid senza vomitare il pancreas per poi entrare su infostud e scoprire che in realtà non ce n'era bisogno. Motivo? Servono le pergamene originali. Ma come le originali? Non vanno bene i certificati? No, e vi spiego perché. I certificati dei diplomi riportano timbro e firma digitali. Innovazioni grandiose apportate proprio per agevolare le procedure burocratiche. Esatto. Peccato che non siano validi né per la Procura né per la Prefettura. La grande rivoluzione digitale è niente meno che una simpatica burla a caso e senza senso, pensata appositamente per farci sentire scemi, e per vantarsi di quanto si sono adeguati ai tempi. Ora 'sta roba la so, ma ho scoperto tutto solo per puro caso, dopo aver tradotto dal lineare b informazioni sparse sul web che mi sono valse una laurea honoris causa in giurisprudenza. Al momento esatto, ne sapevo quanto voi, se non meno. Quindi, in sostanza, serve recarsi agli uffici della Sapienza per ritirare i diplomi originali. Ma certo. Gli uffici della Sapienza. La Sapienza e i suoi uffici. Ma quale dei tanti uffici disseminati in chilometri quadri di territorio? Ce n'è uno per ogni fattone svaccato sulle scale di tutte le facoltà! Mi volete dare un'indicazione precisa, un riferimento univoco, una qualsiasi cosa. Zero. Devi soffrire, cazzo, devi sentirti come Alice che chiede indicazioni a un fottuto bruco oppiomane - potenzialmente, un qualsiasi studente di lettere - e girare in lungo e in largo ore e ore senza mai trovare la destinazione. A un certo punto, un miraggio: sul ballatoio in un angolo remoto dell'ultimo palazzo sulla torre più alta, i benedetti uffici - che uno dice, cazzo, chissà che lusso gli uffici della prima Università di Italia! Le fognature di Baghdad. Vabbè, alla fine ritiri 'sti diplomi e un altro passo è fatto. Se avete conseguito un titolo in un'altra città, fatevi spedire la pergamena originale (vi assicuro che si può fare) accertandovi assolutamente che le firme apposte siano conformi a quelle depositate. Perché? vi starete chiedendo. Ma ovvio, perché il mio master è stato firmato a caso ed è risultato non valido; pertanto, ho dovuto farlo ristampare e rinviare. Tanto di tempo ce n'è, direte voi. Eh, insomma. La Cina richiede una certa celerità. Allegramente inconsapevole che gli uffici a Roma lavorano dalle 9 alle 11 con 4 pause caffè nel mezzo. Poi, a forza di dire che di tempo ce n'è, credetemi, il tempo passa. E ogni ostacolo che incontrerete - e ne incontrerete - è una tacca in meno di sanità mentale. Io partivo già con parecchio svantaggio. Matteo, prima hai nominato la prefettura e la procura, perché? Che c'azzeccano? Oh, è qui che viene il bello. Pensavate che bastassero 4 documenti in croce? Poveri illusi. I documenti vanno tradotti nella lingua del paese di arrivo. E no, non pensateci nemmeno a farlo da soli. Meglio chiederlo a qualcuno che mastica il legalese. Anche perché l'Ambasciata cinese è diventata come Nascia Prandi al telefono: se non le va bene mezza parola riaggancia immediatamente (qui per chi non avesse colto il riferimento (https://www.youtube.com/watch?v=hCRgg06T2Og ).La traduzione ovviamente deve essere giurata. E sì, è il caso che a giurare sia il traduttore stesso. Oppure potete fare come me: portarvi dietro una vittima sacrificale a caso desiderosa di prendersi le responsabilità penali. A dirla tutta, non era questo il piano. Lo abbiamo fatto con totale ingenuità. Manco la soddisfazione di aver gabbato il sistema. E ovviamente è stato subito dramma: io ho avuto una crisi isterica, il pubblico ufficiale pure, abbiamo battibeccato, lei ha chiamato il carabiniere, il carabiniere si è fatto una grossa risata e poi niente. Sono dovuto tornare il giorno dopo all'alba (la loro alba, le nove del mattino) con la traduttrice che mi ha sbraitato addosso tutto il suo odio, come se fosse colpa mia. Bene. Una volta che avete fatto tradurre tutti i documenti (una marca da bollo da sedici ciascuno) e avete fatto giurare ciascuna traduzione, dovete recarvi in procura. Ma come, di nuovo in procura?! Amori, non c'è mica una procura sola. Gli uffici amministrativi di Roma sono gli Horcrux dello stato. Prendete appuntamento, e fatelo quanto prima, perché i primi disponibili sono il mese successivo. Ovviamente gli uffici gemelli sono vicini solo in linea d'aria. Raggiungerli lo stesso giorno è una prova di forza e di fede che in tutta onestà non mi sono sentito di fare. In procura ci metteranno una settimana circa per legalizzare le traduzioni. Basterebbero dieci minuti per ogni documento eh; poverini però, loro sono oberati di cose da fare. Lavorano in continuazione, pensate, dalle 9 alle 11. Cerchiamo di comprenderli. E la prefettura, invece? La prefettura serve per la legalizzazione dei documenti (non delle traduzioni, attenzione). Sì, perché, a quanto pare, la sapienza - ente statale - è in grado di produrre documenti che però non hanno valore legale. Per cui vanno portati in prefettura per essere legalizzati. Se un solo organo avesse potuto fare tutto, dove la mettevamo a lavorare la gente? Divide et impera, dicevano i romani. In prefettura, comunque, potete andarci prima della procura o dopo. Non cambia nulla. Tanto non serve, e lo scoprirete solo alla fine. Come è successo a me. Piacevole. Finito ora? Manco per il cazzo. Questa è solo la prima metà dell'Odissea. Una volta presi tutti i documenti, fatti tradurre, giurare in procura a Lepanto e poi legalizzare in procura a greg, dovete andare in ambasciata per farli legalizzare. Di nuovo? A quanto pare, sì. Ma quante legalizzazioni servono? Non lo so, non chiedetelo a me, io sono solo un umile cantastorie dei dedali della burocrazia. In ambasciata cinese ci sono insidie diverse, e mai quelle che sembrano; infatti, è tutto organizzato e i bagni sono agevoli. La porta del bagno non vi si sfalderà in mille pezzi tra le mani come potrebbe essermi successo in procura. Gli uffici sono puliti, con tanti sportelli organizzati a turni dalle nove alle sedici, il personale è educato e rispettoso, e c'è addirittura la fotocopiatrice per ogni evenienza. Dov'è la fregatura? Innanzitutto, il sito. Per fare la legalizzazione dovete prendere appuntamento e compilare un questionario pieno zeppo di domande assurde tipo "Vuoi spacciare droga nel nostra paese?" "Riconosci Taiwan come stato?" oppure '"Tuo zio ha mai venduto illegalmente armi atomiche ai nemici del partito?". Per completarlo meglio prendere un giorno di ferie. Vi servirà tutto. Consiglio anche di tenere a portata di mano barbiturici, non si sa mai. Una volta fatto, dovete stampare la prenotazione (custoditela come una reliquia non sia mai la Madonna). Prima di recarvi in ambasciata, assicuratevi di avere la fotocopia del passaporto, le fotocopie di tutti documenti, di tutte le traduzioni, di ogni fottuto foglio, e di disporre di almeno 160 euro. Perché é quello il costo della procedura. Altra cosa: se avete disposto le legalizzazioni precedenti nell' ordine sbagliato - qualsiasi cosa voglia dire - dovete rifare tutto da capo. Quindi, mi raccomando. Appena entrati in ambasciata, una guardia vi chiederà se avete prenotato (MI RACCOMANDO LA RELIQUIA) e vi darà un numeretto. Anche se non c'è nessun altro. Mi dispiace per voi, ma è così: dovete aspettare che i dipendenti scorrano tutti i numeri fino a quando non arriva il vostro turno. E dovete attendere in silenzio, senza soffrire, non importa che vi sembrerà di essere tumulati in una serra di specchi sotto il sole della Cambogia. Dovete attendere. Vi verrà detto che occorrono quattro giorni lavorativi per la legalizzazione e vi rilasceranno un foglietto minuscolo, che voi dovete custodire come fosse la sacra sindone, per poter ritirare i documenti. Tornate alla data indicata, esibite la sindone, ritirate i documenti e poi mandateli ai vostri datori di lavoro. Adesso, finalmente, se non ci sono intoppi, dalla Cina vi invieranno il benedetto permesso di lavoro, che ovviamente dovrete stampare e fotocopiare. Amazzonia perdonali. Finito? No, ovviamente. Se vi state riferendo allo spirito di sopportazione, quello vi rimane solo in misura a quanto è grande il vostro desiderio di girare con le unghie lunghe, i capelli unti e la maglietta di Batman per le vie dell'antica e potente Cina. Manca ancora un ultimo step, il boss finale, il Der Richter della situazione (per chi non cogliesse il riferimento https://finalfantasy.fandom.com/it/wiki/Der_Richter): la prenotazione per il visto. Vi ricordate il sito di prima? Se lo avete rimosso, ci penserà google. Dovrete compilare un altro questionario. Più assurdo, più lungo. Vi chiederanno di tutto, dal lavoro dei vostri fratelli, alle malattie congenite familiari, fino alle classiche domande sul traffico degli organi e la vendita di armi nucleari. Rispondete no. Ai traffici illegali, al colesterolo, a quello che vi pare. Poi, stampate tutto: la prenotazione, il modulo, la privacy, il permesso di lavoro (fondamentale). Fate fotocopie multiple di ogni cosa, portate dieci fototessere e finalmente, se nel frattempo uno degli unici tre vagoni operativi della metro b non ha fatto crollare l'ambasciata e non si profilano ulteriori pandemie all'orizzonte, preparatevi a scucire altri 160 euro per il visto. Quattro giorni di attesa (che volete che siano in un oceano di quattro mesi) e finalmente avrete il vostro cazzo permesso per il Paese di mezzo. Bon Voyage. Ah, stavo tralasciando una cosa importantissima: dovrete fare rx, elettrocardiogramma e analisi del sangue. Una volta sicuri che siete sani come pesci e che l'ora della vostra fine ancora è lontana, recatevi dal medico e fatevi fare il certificato di buona salute, un questionario che vi manderanno in inglese e in cinese (quanto vanno matti per i questionari). Ovviamente, le domande sono al limite della follia: vi chiederanno se avete mai avuto il tifo, la lebbra, la peste e il colera, se siete schizofrenici, avete allucinazioni, soffrire di crisi paranoiche o psicosi. Simpatico il mio medico che alla voce confusione mentale mi ha fatto la battuta che era meglio mettere sì, ridendo pure. Porello, è della Bilancia, che ne sa. Anche il certificato di buona salute teoricamente andrebbe legalizzato. Ma questo dipende dai vostri datori di lavoro.

Vi diranno che si può fare tutto in due e mesi o tre. Sì, se pagate mille euro un'agenzia che lo faccia per voi o se avete un'idea precisa di quello che dovete fare. Altrimenti è un Takeshi's Castle più perverso e molto meno divertente, dalla splendida durata di quattro mesi e altrettante notti insonni. Provare per credere. PS. Il primo che mi dice "ah ma io ci ho messo pochissimo, ho fatto tutto in un mese" numero uno, lo blocco. Numero due, lo denuncio. Numero tre gli lancio una macumba. Non ho avuto paura a sbraitare contro un pubblico ufficiale, figuratevi se ho paura di voi. Pace vi adoro bacy.

Quella notte sull'Appia...

Ormai lo saprete, la mia vita è una tragedia, per me che la vivo. Quando la racconto però assume connotati comici che consegnano l'idea - poco realistica - che io sappia veramente destreggiarmi con indomita resistenza nel drammatico susseguirsi di eventi che costellano questo straccio di esistenza. Per mia fortuna, il più delle volte le disavventure vengono vissute in piacevole compagnia. C'è un nutrito cast di personaggi strambi che presenziano sul palcoscenico della mia tragicommedia in atto H24, molti di questi, ricorrenti. Tra tutti, soprattutto due amiche: i miei figlia e spirito santo da tempi biblici. Abbiamo affrontato così tante situazioni folli insieme, che siamo arrivati a convincerci che è la nostra triplice energia a creare uno squarcio nell'ordine cosmico per cui le più aberranti possibilità del reale si condensano sulla terra, nell'esatto spicchio spaziale e temporale dove ci veniamo a trovare. Forse il cosmo ci sta dicendo di separarci, di troncare ogni rapporto, o semplicemente di andare in terapia tutte e tre, invece di continuare a illuderci che possiamo essere l'uno il terapista dell'altro. Delle varie esperienze tragicomiche vissute, una delle più recenti si presta particolarmente a essere raccontata:Immaginate una sera, a Roma, nel febbraio appena trascorso, l'unica sera veramente fredda di quest' anomalo inverno concluso ben prima di iniziare, e un locale sull'Appia nuova. Io e le mie amiche ci stiamo affogando di vino e ricordi dopo aver pranzato col nulla atomico di un catering che prepara solo primi. Ho guidato io, e come loro sanno ciò non deve essere mai permesso per non irritare la volontà del cosmo. Parcheggiare a Roma è un'esperienza che più di ogni altra suggerisce in modo verosimile cosa sia l'inferno, e anche oggi, ne abbiamo un'ulteriore prova: giriamo e rigiriamo in largo, fino a quando, ecco un piccolo angolino vuoto sull'incrocio tra un' angusta via e la Regina Viarum; effettivamente il parcheggio solleva qualche dubbio, immediatamente soppresso dalla totale fiducia che riserviamo nelle nostre capacità - mai fiducia è stata peggio riposta - che ci convince che sì, non avremmo potuto parcheggiare meglio. Ci ritagliamo uno nostro piccolo spicchio di tempo tra risate e ricordi, mentre intanto la nota costante del traffico fa da colonna sonora alle nostre teste annebbiate di alcol. Parliamo, ridiamo, scherziamo, ogni tanto distrattamente l'occhio ci cade sulle numerose luci intermittenti dell'Appia che stasera, con nostro scarso stupore, rumoreggia più del solito. Ma poco ci importa, è il classico traffico del sabato sera, o poco più, e non va a intaccare le spesse mura di stronzate che abbiamo eretto ricordando dei tempi del liceo quando loro due, studentesse dell'ultimo anno andavano a importunare ragazzi d'età decisamente inferiore alla loro con strategie discutibili dal punto di vista logico e legale. Il caos si intensifica intanto, senza riuscire a scalfire la nostra indifferenza, fino a quando un timore mai espresso a parole inizia a condensarsi prima sul mio volto, poi su loro, al frenetico passare di un cameriere tavolo per tavolo. È successo qualcosa. Qualcosa che a detta del nostro disinteresse non ci riguarda. Forse. Del resto, noi siamo sempre stati campioni di salti mortali nello schivare le responsabilità dell'esistenza. Il cameriere dopo aver fatto il giro di tutti i tavoli si avvicina al nostro svelto e pacato e ci chiede: "Ragazzi, avete parcheggiato qui vicino? "Un sospetto crudo si fa largo nei miei occhi. Sì." Ma qui proprio sull'Appia? "Sì. Un’affermazione che suona come il dong di una campana a morte" Una macchina bianca? "Sì, una macchina bianca, ti prego non chiedermi se è una lancia Ypsilon, per favore non chiedermelo, ti prego; il grido di Munch in confronto a me è un bimbo giocondo che gioco a fare lo scheletro. "Una lancia Ypsilon?" Sì, siamo noi, siamo noi, che cos'è successo, dimmelo, dimmi quale crimine atroce ho commesso, dimmelo adesso Cristo Gesù ti prego, ho il cuore che mi urla ovunque nel petto, te prego! "Davvero?" Chiede strabuzzando gli occhi. Siiineeee, fa' finire questo supplizio, fammi abbracciare questa gigantesca merda che sta per affogarci, dimmi, dimmelo, fa’ che questa croce sia un dolore intenso ma breve." No perché avete bloccato tutta l'Appia" Diventiamo tre statue di sale. Ci rendiamo conto d’un tratto che quello che noi avevamo reputato normale traffico del sabato sera è in realtà una scura massa di luci rosse, una fila di occhi di cerbero truculenti che si snoda lungo tutta l'Appia. Non c'è una striscia di strada, nemmeno un angolino, che non sia occupata dal rombare dei motori, squilli di clacson, improperi, versi gutturali, esternazioni, maledizioni cosmiche lanciate con tremante energia. Ho la morte in gola, questo perché reagisco sempre con una certa nonchalance alle circostanze avverse; spero anche che la morte rimanga lì dove la sento, in gola, che , andando alla macchina, nessuno mi riconosca prima come colpevole e successivamente come peccatore da lapidare, ma se proprio deve essere, penso, prendete anche loro due, anche loro, Cristo, non ero da solo, me lo hanno detto loro che era un parcheggio perfetto. Senza pensarci su due volte, mentre le mie amiche con fare serafico se ne rimangono a bere vino abbandonate sull'orlo dell'apocalisse, mi lancio in una corsa folle per raggiungere la macchina della discordia e spostarla. Il nostro parcheggio fortuito che non avrebbe dato fastidio a nessuno ha in realtà bloccato la manovra di un autobus che, uscendo dalla viuzza striminzita, non riesce a immettersi sull'Appia, consegnandomi direttamente alla mercé del tribunale supremo dei guidatori di Roma. Da moderno bianconiglio in una foresta di ferro e luci infernali, mi saetto in macchina, beccandomi gli improperi più arditi mai sentiti in vita mia dagli automobilisti, dal conducente ATAC, dalle signore che si affacciavano dalle palazzine, persino dai cani randagi lungo il marciapiede, insomma, una sinfonia di anatemi. Una volta in macchina, l'ansia si fa azione: inserisco le chiavi, accendo la macchina, zittisco il cuore in tempesta, faccio manovra senza delicatezza alcuna colpendo l'autobus dietro di me, poi mi lancio lontano da quella pazza folla, lungo la prima traversa libera trovata sulla via, senza sapere dove porti, senza chiedermi se sia Ztl, senso unico, se ci siano lavori in corso, ché a Roma, Cristo Santo, per imboccare una strada bisogna chiedere prima udienza al Papa, e alla fine mi ritrovo sperduto nel profondo sud di Roma: zone mai viste, terre inesplorate, favelle incomprensibili, dunque: Il panico assoluto. Dove sei? Mi scrivono le mie amiche, e lo avrei potuto leggere se non mi fossi scordato il cellulare - ovvero l'unico mezzo che potesse riconsegnarmi nelle mani della civiltà - sul tavolino del locale. Le due, intanto, se la sghignazzano tranquillamente, consapevoli di non poter ormai sfuggire all’apocalisse, lì, sul tavolino del locale, scaldate dal tepore del fungo, e si perdono in chiacchiere. Io anche mi perdo, nella disperazione, nella frustrazione, in qualsiasi cosa mi dia la spinta per ritrovare la via verso la civiltà. Riprendo la macchina, non prima di aver controllato di non essere inseguito da orde di automobilisti inferociti, e a tentoni, girando in cerchio, ritrovo l’Appia, adesso finalmente sgombra, libera. Parcheggio – stavolta senza creare danni - e vedo le mie amiche venirmi incontro. Non c’è bisogno di mezza parola, ci guardiamo negli occhi, basta soltanto quello, uno sguardo, e parte la risata isterica. La sera si conclude così, mentre Roma si spopola e il vento si fa più gelido; un'altra tragedia si aggiunge alla collezione sullo scaffale delle nostre vite, una tragedia che il giorno dopo sarà già tramutata nella migliore delle commedie mai immaginate.

Ogni riferimento a fatti, cose e persone subisce esagerazioni dovute al flusso narrativo e al tocco tragico, pertanto è verosimile e non totalmente attinente al vero. Pur non fosse, sarebbe troppo tardi per giustiziare le mie amiche per fatti, inerenti a dieci e più anni fa, accaduti sotto gli occhi delle docenti. In caso, denunciate quest'ultime. Vi adoroh.

Hogwarts è un posto sicuro...?

Reduce da una stimolante quanto estenuante maratona Harry Potter, grazie alla mirabile complicità di Amazon Prime Video, che ha rilasciato gratuitamente tutti i film della saga, sono giunto ad alcune considerazioni, sotto gli influssi dell'attuale congiunzione in sagittario, la quale risuonando con quella inscritta nella mia mappatura celeste mi conduce a investire il mio tempo in questo modo . Infruttuoso, direte voi, può darsi, ma è domenica, sono in relax, e la mia mente raccoglie gli stimoli che gli si presentano, qualsiasi essi siano. Tutto pur di non ascoltare mia madre.

Tralasciando ciò, le considerazioni scaturiscono da una riflessione su quanto viene a più riprese ripetuto da tutti i personaggi della saga:

" Non c'è luogo più sicuro di Hogwarts"

Pensa un po'!

- Le tubature della scuola ospitano un cazzo di Basilisco che vuole far fuori i mezzosangue. Rassicurante. Ma fighe le tubature larghe, fighissime: a Pechino non puoi nemmeno buttare la carta-igienica nel cesso altrimenti c'è il rischio che si intoppi pure l'anima de li mortacci loro.

- Non passa un anno senza che un pericolo mortale sfidi la sicurezza presunta della scuola, ma ogni benedetta volta che viene consigliato a Silente di smontare baracca e burattini per la salvaguardia di tutti, lui sente l'obbligo morale di ribadire che no, nemmeno la Gringott è sicura quanto lo è Hogwarts, e i professori come dei lobotomizzati giù ad applaudire , ricoprire il preside di elogi, Hagrid innamorato perso. Bah.

- Nel primo capitolo un troll passeggia per i sotterranei della scuola, e i professore se ne preoccupano ma non abbastanza da precipitarsi a risolvere la situazione. Quando i tre marmocchi se ne sbarazzano, i professori decidono di lasciare il troll, momentaneamente K.O., lì, sul pavimento, a prendere aria. Boh. Fregacazzi proprio dell'incolumità degli studenti.

- Alle scale piace cambiare. Pensa, invece a me piacerebbe raggiungere il dormitorio incolume. Senza precipitare nel vuoto possibilmente.

- Sulla cattedra di difesa contro le arti oscure è stata lanciata una maledizione, lo sappiamo tutti. Cosa tremenda, ma dico, consci di ciò, le vogliamo fare un po' meglio le selezioni? Il primo anno a fare lezione è nientepopodimeno che Voldemort, dietro la capoccia di un tizio che pare uno stramboide pure nel mondo dei maghi. Che Gilderoy Allock fosse un fake non era proprio una sorpresa, mi stupisco che una mente brillante come quella di Silente non l'abbia intuito. Il terzo anno ci mettono un licantropo. Mi volete dire che nessuno ne era al corrente? Brava persona eh, per carità, ma certo non una garanzia per la continuità didattica. Alastor Moody era un'ottima idea, peccato che non fosse lui. Impeccabili le difese Hogwarts, le doti attoriali di Barry Crouch jr un pelino meglio però. Non male per uno che si è fatto succhiare l'anima per un decennio ad Azkaban.

- Hagrid va tenuto a bada, che cazzo gli date la cattedra di animali fantastici!!!

- Il boschetto della scuola, rinominata foresta proibita, evidentemente a segnalare l'evidente pericolosità del posto, diviene luogo dove scontare le punizioni. CERTO. MONTESSORI LEVITE!

- Il sistema dell'assegnazione dei punti non è certo mortale ma farebbe bestemmiare persino un santo.

- 'Sti poracci nemmeno nel cesso c'hanno un momento loro, e i bagni del Sanctis erano teatro di cose inenarrabili, eppure riuscivo persino a cagarci di tanto in tanto, senza essere molestato da un fantasma imbronciato h24.

- I dissennatori liberi di gironzolare ovunque: sul treno, sul campo di Quidditch... a Hogwarts ci manderei mio figlio solo se dovesse pregarmi di non mettere l'ennesimo CD di Lady Gaga.

- Harry inseguito da un Bolide durante una partita di Quidditch e tutti sugli spalti allegrotti e col fiato sospeso come fosse una cosa distante, lontano da loro, che non si riflette sulla vita reale.

- Gli orari che si sovrappongono. In un cazzo di college privato. Manco fosse la Sapienza.

- Il torneo tremmaghi è DELIRIO PURO: un circo inquietantissimo per il gusto di un pubblico che, pure se conscio del pericolo di morte che più e più volte viene esplicitato con una certa serietà, se la ride con tanto di vuvuzela e festoni.

- Tecnologia zero: un sistema di telecamere avrebbe risolto l'80% dei problemi, a partire da Peter Minus fino alla Pietra filosofale, senza alcun bisogno di allestire un vero e proprio complessissimo pandemonio per sorvegliarne il nascondiglio. 'Sto gusto amnish è inspiegabile: voglio dire, è l'Inghilterra di fine novanta, mica la Calabria di inizio 2000 ( cattivo, I know).

- La discriminazione ai danni dei serpeverde, considerati dei suprematisti bianchi senza alcuna distinzione, è una cosa spaventosa.

- Argus Gazza ha la classica faccia del pedofilo che si masturba con l'intimo sporco degli studenti di nascosto. Non gli darei da custodire nemmeno una pianta grassa. Ma vabbè, grand'uomo Silente, lui vede tutto, sa tutto, non gli sfugge niente. Lo abbiamo visto con Gilderoy Allock, infatti.

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